Seminario nazionale delle CdB italiane – 2021
di Valerio Gigante
Tratto da: Adista Notizie n° 18 del 15/05/2021
ROMA-ADISTA. Il Seminario nazionale delle Cdb quest’anno – causa pandemia – si è dovuto svolgere, come tanti altri eventi, solo online. Un limite forte per una realtà che ha fatto della presenza, nei territori, nella dimensione sociale e civile, una caratteristica fondamentale della propria storia di azione ecclesiale e politica. Ciononostante, l’incontro svoltosi sulla piattaforma zoom il 1° e 2 maggio scorsi, è stato intenso e molto partecipato, con circa 250 presenze, appartenenti a una decina di comunità sparse sul territorio nazionale. Il tema scelto quest’anno era “Tramonto del Cristianesimo o tempo di rigenerazione?”. Si trattava della seconda tappa di un percorso di riflessione e confronto iniziato nel 2019 con il 38º Incontro nazionale delle CdB “Vangelo e Costituzione oggi. Credenti disobbedienti nella Chiesa e nella società”. Il seminario era stato preceduto, in autunno e inverno, da diversi incontri realizzati online. Il percorso è stato quindi articolato e caratterizzato da molti contributi provenienti dalle realtà locali.
Nell’introdurre i lavori, Paolo Sales, della comunità di Torino ha ripreso proprio una delle riflessioni inviate nella fase preparatoria della comunità di Pinerolo-Via Città di Gap e Piossasco, che definiva «il tempo che stiamo vivendo un kairos», ossia «una stagione ricca di stimoli». La fede vissuta dal movimento in questi 50 anni, ha spiegato Sales, ci «spinge ad abitare il presente con fatica, ma con altrettanta gioia e speranza». Con quella che J. Baptist Metz chiamava la “Mistica degli occhi aperti”, «in cui l’adorare Il mistero di Dio e lottare per la giustizia si richiamano si abbracciano e si fecondano a vicenda in questo tempo di crisi come quello che stiamo attraversando ». I tempi attuali «manifestano un grande bisogno di Dio, di trascendenza e senso che non è fuga dalla realtà, ma riscoperta di un tempo qualitativamente valido, capace di offrire nuovi orizzonti di senso. Per questo, ha detto Sales, le CdB ritengono che possa essere utile «riflettere con attenzione sui compiti, le responsabilità che abbiamo come singoli credenti e come comunità». «Crediamo profondamente che il nostro sia un tempo opportuno per la ricerca di un dialogo con ogni esperienza di fede, in ogni spazio possibile, nella piena fiducia che questo sia occasione di rigenerazione della fede e di ecclesiogenesi », che è «cammino per reinventare la fede e la Chiesa che la testimonia». Perché testimoniare la fede nel Dio di Gesù «significa cercare nuovi linguaggi capaci di parlare al nostro tempo e alle persone che lo abitano; significa costruire opportunità, occasioni, spazi visibili a partire dai momenti fondanti della nostra esperienza».
Insomma, il Seminario delle CdB ha approfondito un tema su cui da tempo – anche su Adista – diverse realtà del cristianesimo progressista e conciliare sono impegnate a riflettere. Mutato radicalmente negli ultimi decenni il quadro ecclesiale, affievolitosi in gran parte l’orizzonte di impegno e militanza che caratterizzava alcuni settori della Chiesa e della società, non solo bisogna riflettere sul proprio ruolo nella dimensione contemporanea, ma anche chiedersi quale Dio, quale Chiesa, quale Vangelo comunicare in una società tanto mutata, dove le pratiche, le metodologie, i linguaggi stessi di un tempo appaiono incapaci di comunicare efficacemente i valori comunitari e incarnati e vissuti.
Immaginare il nuovo
Nel suo intervento, la pastora e biblista valdese Lidia Maggi ha descritto così la situazione: «Abbiamo sognato la fine della cristianità, ovvero quel modello di Chiesa che dalla svolta costantiniana in poi ha segnato la fine di quel potere in Occidente; però adesso ci troviamo a fare i conti con alcuni segnali che sembrano indicare una fine del cristianesimo», perché «le parole, i simboli, i testi del cristianesimo non sono più riferimento culturale condiviso». Oggi, «in una società così fortemente caratterizzata dall’individualismo, ci si trova sempre più di fronte una fede fai-da-te, non comunitaria; a una sorta di un cristianesimo ibrido», con la «la consapevolezza che alcune esperienze forti del dopo Concilio stanno tramontando». «Questi segnali di tramonto del cristianesimo ci spingono piuttosto a ripensare la fede, a provare a orientarci in questo mutamento di paesaggi, a cercare quelle pietre miliari in grado di tracciare percorsi che ancora scommettono sul Vangelo di Gesù in questo tempo di disaffezione». Infatti, «c’è differenza tra leggere la realtà e reagire alla realtà». «L’atteggiamento militante ci spinge spesso a prendere subito posizione, assumere alcuni valori e contestare disvalori, ma oggi l’urgenza ci chiede di fare un passo indietro che non vuol dire dismettere una mentalità critica e vigile sulla realtà, ma fare davvero i conti con una realtà complessa, che cambia velocemente e richiede tempo per convogliare le energie necessarie alla stessa comprensione».
In questa prospettiva, Lidia Maggi ha individuato due punti cui orientarsi per tracciare nuove strade nel deserto della modernità in cui un vecchio modo di pensare il cristianesimo muore. Il primo è quello di un cristianesimo che sappia ridire il corpo. Cioè tornare a domandarsi «cosa vuol dire vivere, essere umani, abitare la terra, fare i conti con l’altro», superando il vecchio cristianesimo «che ha puntato tutto sull’anima senza i corpi». L’altro riferimento è la capacità di «immaginare il nuovo che ancora deve venire». «Si può vivere una leggerezza che necessita di spogliarsi di bagagli pesanti della dialettica, della polemica, del lamento. Senza rinunciare allo sguardo critico cercare di essere militanti leggeri».
Il Vangelo ci salverà
Marinella Perroni, riprendendo le considerazioni di Maggi, ha rilevato che a suo giudizio «il titolo generale del seminario sarebbe forse dovuto essere “il tramonto del Cristianesimo come tempo di rigenerazione”. Mi sembra – ha spiegato – che il tramonto di un certo cristianesimo possa essere un segnale di una possibile rigenerazione». «Non molto tempo fa espressioni come “collasso del patriarcato” sembravano indicare un punto di non ritorno, un processo ritenuto ormai irreversibile». Oggi «lo sguardo si è fatto un po’ più differenziato, meno ingenuo, più cinico. Comunque più attento a valutare la complessità enorme di un processo come quello della fine (?), trasformazione (?), riassetto (?) del patriarcato». «L’esperienza ci ha fatto abbandonare qualche ingenuità e ci ha aiutato a inoltrarci in un presente molto più complesso. Ci rendiamo conto che semplificare è veramente adulterare la realtà». Rispetto alle istanze del passato, allora, «siamo su un binario morto?», si chiede Perroni. La sua relazione indica piuttosto «una situazione emergenziale da vivere e interpretare». D’altronde, sottolinea, «non è vero che siamo sempre in un’epoca di transizione, se nella storia tutto si trasforma continuamente». Anche il femminismo ha lasciato un segno indelebile nella storia del ‘900, nonostante i tanti passi indietro rispetto alle conquiste del passato, e nonostante ancora «la Chiesa cattolica non ne voglia sapere di accettare l’interlocuzione storica che il femminsmo ha seminato tra ‘800 e ‘900 nella storia». Certo, Il femminismo contemporaneo non è privo di ambiguità: «A chi si rivolge, chi prende di mira? I maschi o il patriarcato?». «Sembrerebbe – nota la teologa – più i maschi che il patriarcato». E «le rivendicazioni delle donne oggi a cosa mirano? A prendere il posto dei maschi, o a trasformare in profondità una situazione nella quale hanno preso forma tutti i tipi di patriarcato?». Perroni si chiede quindi quale femminismo può oggi sconfiggere il patriarcato. E suggerisce due strategie: «l’implosione di una sessualità binaria giocata esclusivamente sul maschile femminile» e «l’intersezionalità, che afferma che le concettualizzazioni classiche che esprimono le oppressioni tipiche della società, il razzismo, il sessismo, l’abilismo, lo specismo, l’omofobia, la transfobia, la xenofobia avvengono a partire da una base multidimensionale e tutte queste forme di disuguaglianza, tutte espressioni del patriarcato, sono interconnesse e non agiscono in maniera autonoma». Il nuovo femminismo radicato nella modernità, torna oggi nuovamernte ad assumere una visione sistemica, afferma Perroni, «non più ideologica, ma pragmatica». Se la cristianità tramonta, il cristianesimo può essere ancora una forza propulsiva. Il vangelo ha sempre contribuito a salvare dalla miopia e a dare lungimiranza.
Il giorno successivo è stata la volta di Franco Barbero, biblista, teologo, storico animatore del movimento delle Comunità di Base. Il suo intervento intendeva individuare alcuni piccoli passi possibili in un cammino di sinodalità, «senza chiedere permesso». Perché, ha spiegato, «la richiesta della sinodalità non è un capriccio per esserci, ma la fatica e la responsabilità di esserci; e la Chiesa deve esserci più per ascoltare che per insegnare». Il linguaggio sinodale, molto di moda nella Chiesa odierna, non c’entra nulla con la vera sinodalità. E rischia di esserne la mistificazione. Anche sotto papa Francesco si sentono tante voci, ma chi decide è sempre una soltano. «Questa retorica e questa finzione vanno smascherate e smantellate». «La sinodalità non deve essere intesa come esclusivamente consultiva, come accade oggi; deve essere soprattutto deliberativa». «Altrimenti continueremo ad avere Sinodi che trattano di tutto e documenti post sinodali che negano ciò che è stato l’oggetto di un dibattito spesso anche appassionato».